La Congregazione religiosa di Santa Rita, ha organizzato per
la commemorazione del 40° anno della Statua di Santa Rita, una programma di Sante Messe dal 19 maggio al 22 maggio. In quest’ultimo
giorno è previsto nelle Chiesa Anime Sante, alle ore 17:00, una Santa Messa con
le bambine in abito di Santa Rita. Seguirà la processione per le vie del paese
alle ore 20:30.
Fra le tante stranezze o fatti strepitosi che accompagnano
la vita dei santi, prima e dopo la morte, ce n'è uno in particolare che
riguarda S. Rita da Cascia, una delle sante più venerate in Italia e nel mondo
cattolico, ed è che essa è stata beatificata ben 180 anni dopo la sua morte e
addirittura proclamata santa a 453 anni dalla morte.
Quindi una santa che ha avuto un cammino ufficiale per la sua canonizzazione
molto lento (si pensi che sant’Antonio di Padova fu proclamato santo un anno
dopo la morte), ma nonostante ciò S. Rita è stata ed è una delle più venerate
ed invocate figure della santità cattolica, per i prodigi operati e per la sua
umanissima vicenda terrena.
Rita ha il titolo di “santa dei casi impossibili”, cioè di quei casi clinici o
di vita, per cui non ci sono più speranze e che con la sua intercessione, tante
volte miracolosamente si sono risolti.
Nacque intorno al 1381 a Roccaporena, un villaggio montano a 710 metri s. m.
nel Comune di Cascia, in provincia di Perugia; i suoi genitori Antonio Lottius
e Amata Ferri erano già in età matura quando si sposarono e solo dopo dodici
anni di vane attese, nacque Rita, accolta come un dono della Provvidenza. La vita di Rita fu intessuta di fatti prodigiosi, che la tradizione, più che le
poche notizie certe che possediamo, ci hanno tramandato; ma come in tutte le
leggende c’è alla base senz’altro un fondo di verità.
Si racconta quindi che la madre molto devota, ebbe la visione di un angelo che
le annunciava la tardiva gravidanza, che avrebbero ricevuto una figlia e che
avrebbero dovuto chiamarla Rita; in ciò c’è una similitudine con S. Giovanni
Battista, anch’egli nato da genitori anziani e con il nome suggerito da una
visione. Poiché a Roccaporena mancava una chiesa con fonte battesimale, la piccola Rita
venne battezzata nella chiesa di S. Maria della Plebe a Cascia e alla sua
infanzia è legato un fatto prodigioso; dopo qualche mese, i genitori, presero a
portare la neonata con loro durante il lavoro nei campi, riponendola in un
cestello di vimini poco distante. E un giorno mentre la piccola riposava all’ombra di un albero, mentre i
genitori stavano un po’ più lontani, uno sciame di api le circondò la testa
senza pungerla, anzi alcune di esse entrarono nella boccuccia aperta
depositandovi del miele. Nel frattempo un contadino che si era ferito con la
falce ad una mano, lasciò il lavoro per correre a Cascia per farsi medicare;
passando davanti al cestello e visto la scena, prese a cacciare via le api e
qui avvenne la seconda fase del prodigio, man mano che scuoteva le braccia per
farle andare via, la ferita si rimarginò completamente. L’uomo gridò al
miracolo e con lui tutti gli abitanti di Roccaporena, che seppero del prodigio. Rita crebbe nell’ubbidienza ai genitori, i quali a loro volta inculcarono nella
figlia tanto attesa, i più vivi sentimenti religiosi; visse un’infanzia e
un’adolescenza nel tranquillo borgo di Roccaporena, dove la sua famiglia aveva
una posizione comunque benestante e con un certo prestigio legale, perché a
quanto sembra ai membri della casata Lottius, veniva attribuita la carica di
‘pacieri’ nelle controversie civili e penali del borgo.
Già dai primi anni dell’adolescenza Rita manifestò apertamente la sua vocazione
ad una vita religiosa, infatti ogni volta che le era possibile, si ritirava nel
piccolo oratorio, fatto costruire in casa con il consenso dei genitori, oppure
correva al monastero di Santa Maria Maddalena nella vicina Cascia, dove forse
era suora una sua parente.
Frequentava anche la chiesa di S. Agostino, scegliendo come suoi protettori i
santi che lì si veneravano, oltre s. Agostino, s. Giovanni Battista e Nicola da
Tolentino, canonizzato poi nel 1446. Aveva tredici anni quando i genitori,
forse obbligati a farlo, la promisero in matrimonio a Fernando Mancini, un
giovane del borgo, conosciuto per il suo carattere forte, impetuoso, perfino
secondo alcuni studiosi, brutale e violento.
Rita non ne fu entusiasta, perché altre erano le sue aspirazioni, ma in
quell’epoca il matrimonio non era tanto stabilito dalla scelta dei fidanzati,
quando dagli interessi delle famiglie, pertanto ella dovette cedere alle
insistenze dei genitori e andò sposa a quel giovane ufficiale che comandava la
guarnigione di Collegiacone, del quale “fu vittima e moglie”, come fu poi detto.
Da lui sopportò con pazienza ogni maltrattamento, senza mai lamentarsi,
chiedendogli con ubbidienza perfino il permesso di andare in chiesa. Con la
nascita di due gemelli e la sua perseveranza di rispondere con la dolcezza alla
violenza, riuscì a trasformare con il tempo il carattere del marito e renderlo
più docile; fu un cambiamento che fece gioire tutta Roccaporena, che per anni
ne aveva dovuto subire le angherie.
I figli Giangiacomo Antonio e Paolo Maria, crebbero educati da Rita Lottius
secondo i principi che le erano stati inculcati dai suoi genitori, ma essi
purtroppo assimilarono anche gli ideali e regole della comunità casciana, che
fra l’altro riteneva legittima la vendetta.
E venne dopo qualche anno, in un periodo non precisato, che a Rita morirono i
due anziani genitori e poi il marito fu ucciso in un’imboscata una sera mentre
tornava a casa da Cascia; fu opera senz’altro di qualcuno che non gli aveva
perdonato le precedenti violenze subite.
Ai figli ormai quindicenni, cercò di nascondere la morte violenta del padre, ma
da quel drammatico giorno, visse con il timore della perdita anche dei figli,
perché aveva saputo che gli uccisori del marito, erano decisi ad eliminare gli
appartenenti al cognome Mancini; nello stesso tempo i suoi cognati erano decisi
a vendicare l’uccisione di Fernando Mancini e quindi anche i figli sarebbero
stati coinvolti nella faida di vendette che ne sarebbe seguita.
Narra la leggenda che Rita per sottrarli a questa sorte, abbia pregato Cristo
di non permettere che le anime dei suoi figli si perdessero, ma piuttosto di
toglierli dal mondo, “Io te li dono. Fà di loro secondo la tua volontà”.
Comunque un anno dopo i due fratelli si ammalarono e morirono, fra il dolore
cocente della madre. S. Rita è un modello di donna adatto per i tempi duri. I
suoi furono giorni di un secolo tragico per le lotte fratricide, le pestilenze,
le carestie, con gli eserciti di ventura che invadevano di continuo l’Italia e
anche se nella bella Valnerina questi eserciti non passarono, nondimeno la fame
era presente.Poi la violenza delle faide locali aggredì l’esistenza di Rita Lottius,
distruggendo quello che si era costruito; ma lei non si abbatté, non passò il
resto dei suoi giorni a piangere, ma ebbe il coraggio di lottare, per fermare
la vendetta e scegliere la pace. Venne circondata subito di una buona fama, la
gente di Roccaporena la cercava come popolare giudice di pace, in quel covo di
vipere che erano i Comuni medioevali. Esempio fulgido di un ruolo determinante
ed attivo della donna, nel campo sociale, della pace, della giustizia. Ormai
libera da vincoli familiari, si rivolse alle Suore Agostiniane del monastero di
S. Maria Maddalena di Cascia per essere accolta fra loro; ma fu respinta per
tre volte, nonostante le sue suppliche. I motivi non sono chiari, ma sembra che
le Suore temessero di essere coinvolte nella faida tra famiglie del luogo e
solo dopo una riappacificazione, avvenuta pubblicamente fra i fratelli del
marito ed i suoi uccisori, essa venne accettata nel monastero.
Per la tradizione, l’ingresso avvenne per un fatto miracoloso, si narra che una
notte, Rita come al solito, si era recata a pregare sullo “Scoglio” (specie di
sperone di montagna che s’innalza per un centinaio di metri al disopra del
villaggio di Roccaporena), qui ebbe la visione dei suoi tre santi protettori
già citati, che la trasportarono a Cascia, introducendola nel monastero, si
cita l’anno 1407; quando le suore la videro in orazione nel loro coro,
nonostante tutte le porte chiuse, convinte dal prodigio e dal suo sorriso,
l’accolsero fra loro. Quando avvenne ciò Rita era intorno ai trent’anni e
benché fosse illetterata, fu ammessa fra le monache coriste, cioè quelle suore
che sapendo leggere potevano recitare l’Ufficio divino, ma evidentemente per
Rita fu fatta un’eccezione, sostituendo l’ufficio divino con altre orazioni.
La nuova suora s’inserì nella comunità conducendo una vita di esemplare
santità, praticando carità e pietà e tante penitenze, che in breve suscitò
l’ammirazione delle consorelle. Devotissima alla Passione di Cristo, desiderò
di condividerne i dolori e questo costituì il tema principale delle sue
meditazioni e preghiere.
Gesù l’esaudì e un giorno nel 1432, mentre era in contemplazione davanti al
Crocifisso, sentì una spina della corona del Cristo conficcarsi nella fronte,
producendole una profonda piaga, che poi divenne purulenta e putrescente,
costringendola ad una continua segregazione.
La ferita scomparve soltanto in occasione di un suo pellegrinaggio a Roma,
fatto per perorare la causa di canonizzazione di s. Nicola da Tolentino,
sospesa dal secolo precedente; ciò le permise di circolare fra la gente. Si era
talmente immedesimata nella Croce, che visse nella sofferenza gli ultimi
quindici anni, logorata dalle fatiche, dalle sofferenze, ma anche dai digiuni e
dall’uso dei flagelli, che erano tanti e di varie specie; negli ultimi quattro
anni si cibava così poco, che forse la Comunione eucaristica era il suo unico
sostentamento e fu costretta a restare coricata sul suo giaciglio.
E in questa fase finale della sua vita, avvenne un altro prodigio, essendo
immobile a letto, ricevé la visita di una parente, che nel congedarsi le chiese
se desiderava qualcosa della sua casa di Roccaporena e Rita rispose che le
sarebbe piaciuto avere una rosa dall’orto, ma la parente obiettò che si era in
pieno inverno e quindi ciò non era possibile, ma Rita insisté.
Tornata a Roccaporena la parente si recò nell’orticello e in mezzo ad un
rosaio, vide una bella rosa sbocciata, stupita la colse e la portò da Rita a
Cascia, la quale ringraziando la consegnò alle meravigliate consorelle. Così la
santa vedova, madre, suora, divenne la santa della ‘Spina’ e la santa della
‘Rosa’; nel giorno della sua festa questi fiori vengono benedetti e distribuiti
ai fedeli. Il 22 maggio 1447 (o 1457, come viene spesso ritenuto) Rita si spense, mentre
le campane da sole suonavano a festa, annunciando la sua ‘nascita’ al cielo. Si
narra che il giorno dei funerali, quando ormai si era sparsa la voce dei
miracoli attorno al suo corpo, comparvero delle api nere, che si annidarono
nelle mura del convento e ancora oggi sono lì, sono api che non hanno un
alveare, non fanno miele e da cinque secoli si riproducono fra quelle mura. Per
singolare privilegio il suo corpo non fu mai sepolto, in qualche modo trattato
secondo le tecniche di allora, fu deposto in una cassa di cipresso, poi andata
persa in un successivo incendio, mentre il corpo miracolosamente ne uscì
indenne e riposto in un artistico sarcofago ligneo, opera di Cesco Barbari, un
falegname di Cascia, devoto risanato per intercessione della santa.
Sul sarcofago sono vari dipinti di Antonio da Norcia (1457), sul coperchio è
dipinta la santa in abito agostiniano, stesa nel sonno della morte su un drappo
stellato; il sarcofago è oggi conservato nella nuova basilica costruita nel
1937-1947; anche il corpo riposa incorrotto in un’urna trasparente, esposto
alla venerazione degli innumerevoli fedeli, nella cappella della santa nella
Basilica-Santuario di S. Rita a Cascia.
Accanto al cuscino è dipinta una lunga iscrizione metrica che accenna alla vita
della “Gemma dell’Umbria”, al suo amore per la Croce e agli altri episodi della
sua vita di monaca santa; l’epitaffio è in antico umbro ed è di grande
interesse quindi per conoscere il profilo spirituale di S. Rita. Bisogna dire che il corpo rimasto prodigiosamente incorrotto e a differenza di
quello di altri santi, non si è incartapecorito, appare come una persona morta
da poco e non presenta sulla fronte la famosa piaga della spina, che si
rimarginò inspiegabilmente dopo la morte.
Tutto ciò è documentato dalle relazioni mediche effettuate durante il processo
per la beatificazione, avvenuta nel 1627 con papa Urbano VIII; il culto
proseguì ininterrotto per la santa chiamata “la Rosa di Roccaporena”; il 24
maggio 1900 papa Leone XIII la canonizzò solennemente. Al suo nome vennero intitolate tante iniziative assistenziali, monasteri,
chiese in tutto il mondo; è sorta anche una pia unione denominata “Opera di S.
Rita” preposta al culto della santa, alla sua conoscenza, ai continui pellegrinaggi
e fra le tante sue realizzazioni effettuate, la cappella della sua casa, la
cappella del “Sacro Scoglio” dove pregava, il santuario di Roccaporena,
l’Orfanotrofio, la Casa del Pellegrino.
Il cuore del culto comunque resta il Santuario ed il monastero di Cascia, che
con Assisi, Norcia, Cortona, costituiscono le culle della grande santità umbra.
Nessun commento:
Posta un commento