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sabato 4 maggio 2013

IL CARRETTO SICILIANO


Tra le molte cose belle già appartenute al più vivo folklore siciliano, il carretto rappresenta indubbiamente l'espressione più caratteristica del costume storico e tradizionale dell’Isola.
 Il carretto siciliano è certamente l'oggetto più popolare e caratteristico dell'artigianato e del folclore della Sicilia. Strettamente legato alla tradizione, alla storia ed alla cultura della nostra terra oggi ne è diventato il simbolo. Questi gioiosi e folkloristici capolavori, si manifestano agli occhi di chi li osserva come una fantasmagorica esplosione di colori e forme. Nelle sponde, nelle ruote, nella cassa in cui predominano il giallo, il rosso, il verde e il turchino, vi sono i colori della passione, del sole siciliano, dello zolfo, delle arance e dei limoni, delle angurie e dei ficodindia, del cielo e del mare, della lava che sgorga dall'Etna. Esso rappresenta in sintesi, l'espressione delle numerose civiltà del Mediterraneo che furono presenti nell'Isola, dagli Arabi ai Turchi, dai Greco-Bizantini ai Normanni per finire con gli Aragonesi (Spagnoli) e gli Angioini (Francesi). Osservandolo da vicino sembra di guardare e di sentire tutta la Sicilia con i panorami aspri, i suoi profumi misteriosi, la mescolanza salsoiodica dei venti del Mediterraneo le sue lontananze, le sue infinite storie da “ Le mille e una notte”.

Nelle diverse aree dell'isola si distinguono cinque fondamentali varianti tipologiche del carretto, secondo la tradizione culturale e il gusto locale, nonché secondo la funzione principale che il veicolo è chiamato a svolgere. Queste tipologie sono da ricercare non solo nelle variazioni cromatiche ma anche nei vari elementi strutturali del veicolo. Le cinque, varianti tipologiche, fondamentali sono: il palermitano, il castelvetranese, il trapanese, il marsalese e il catanese. Queste cinque varianti dimostrano, indipendentemente dalle diverse caratteristiche locali, l’abile maestria dei costruttori-artigiani, i quali elaborano, con estrema perizia e maestria, le esigenze di ordine estetico una funzione prettamente pratica del manufatto. Botteghe di uomini costruiscono, intagliano, decorano il carretto, creando il codice dell’arte popolare.
Ogni paese ebbe i suoi carradori, i suoi fabbricanti di finimenti lucidi di specchietti e di borchie. Che determinarono varie scuole di maestranza, con i propri “stili”. Ogni bottega ebbe una propria organizzazione interna, un proprio modo di lavorare ed un proprio patrimonio. La costruzione del carretto era un'impresa molto faticosa, prevedeva una complessa organizzazione. Ogni carretto si può definire un'opera collettiva poiché impegnava più gruppi di artigiani con specializzazioni diverse: il carradore, u’ carrozzieri (chi costruiva il carretto), il fabbro, u’ firraru (che forgiavano le parti metalliche del carretto), gli intagliatori, u 'ntaghiaturi, lo scultore (che scolpivano e rifinivano le parti in legno), il fonditore, u’ramaturi, il pittore, u pitturi (che decoravano il carretto), il pellettiere, il quale assume nomi diversi in base ai finimenti che realizza. Erano umili artigiani che si tramandavano il mestiere da generazioni in generazione. Costruivano così con tecniche di lavorazione primitive, carretti che, oltre ad essere dei mezzi di trasporto, rappresentano oggi delle vere e proprie icone della Sicilia dove l’artigianato raggiunge una delle sue massime espressioni.  
Le ruote e i raggi e le sponde erano finemente intagliati, le chiavi di sostegno ornate di rosoni, di angeli e di draghi, le spalliere di vicende che parlavano all’immaginazione. Tutte le superfici del veicolo erano dipinte e decorate; un miscuglio di colori: rosso, turchino, verde, rosa, celestino, bianco. I colori non hanno ombreggiature, né sfumature. Sono sempre accesi, con un effetto bellissimo, a tratti accostati e giustapposti che ricordano la tecnica degli impressionisti per cogliere le fuggevoli sfumature. Esplodono i ritmi geometrici dal tono fantastico, ogni singola parte si distingue dalle restanti per una propria peculiare caratteristica, e nell’insieme è da questo intrecciarsi e mescolarsi di colori e motivi decorativi che derivano le particolarità che conferiscono un certo fascino al carretto. Nel suo significato descrittivo, il corpus delle immagini raffigurate nei laterali del carretto compone e rappresenta ciascuna un tema, un motivo o una variante dell’universo dei simboli nei quali la cultura si segmenta. Le immagini o unità narrative si contestualizzano negli scacchi e trovano lì una loro successione crono-logica (quella che il carrettiere ha deliberato ma che il pittore, di volta in volta, crea e ricrea) così anche tali tematiche (tutti gli infiniti modi di essere e di fare inventariati e inventariabili: il duello, la fascinazione l’incantesimo, il miracolo) hanno la potenzialità di riferirsi alla loro specifica storia in un’ottica ideografica. Figure e cavalli vigorosamente scolpiti e dipinti, in un gioco fantastico di luci e ombre che arricchiscono l’atmosfera di poesia in cui sono ambientati, sono così vivi e così pieni di movimento che sembrano balzare sulla strada. Una profusione di ornati, di simboli e di figure interpretati in prima istanza dal pittore che seleziona le scene, il carrettiere che sceglie ed infine il pubblico che osserva e interpreta. I pannelli dei carri, come osserva Antonino Buttitta, sulla base dei soggetti che raffigurano, si possono suddividere nelle seguenti tipologie fondamentali: 
1)  Genere storico-cavalleresco 
2)  Genere leggendario-fiabesco 
3) Genere religioso 
4) Genere lirico letterario 
5) Genere realistico
Un mondo fantastico, dall’atmosfera abbracciante, popolato di castelli che fanno pensare ai sontuosi castelli degli Emiri, saloni imperiali o semplici ed infantili casupole e baldanzosi cristiani, armature preziose e cavalieri montati su focosi destrieri, re, regine, principi, giganti, saraceni, diavoli maghi, mostri, fate. Su di loro sovrasta l’azzurro infinito di un cielo cristallino. Ogni carro aveva, nei suoi quattro scacchi, un ciclo rappresentato che segue un iter-narrativo ben preciso. Mille le storie, mille gli eventi, tra battaglie idilli amorosi, tra Santi e banditi graci e romani, tra  Orlando, Angelica, Rinaldo, Garibaldi, Turiddu Macca, Astolfo ed il suo volo iperbolico, Ruggiero, Giovanna di Napoli, Genoveffa di Brabante, San Giorgio, San Giuseppe, Santa Rosalia, la cultura siciliana si raccontava. Le varie immagini dimostrano l’intreccio tra arte culta e arte popolare.
Oggi il carretto è quasi scomparso, ma resta pressoché intatto tutto il fascino che riesce ad esercitare in chi ha la fortuna di poterne ammirare i dettagli, rappresentando l'oggetto più conosciuto e significativo dell'arte popolare siciliana. Divenuto obsoleto come mezzo di trasporto e di lavoro nelle campagne è rimasto solo nel suo ruolo di rappresentante della Sicilia e della sua tradizione, tanto da diventare uno dei simboli dell'iconografia folcloristica siciliana. Mezzo di trasporto, bottega ambulante, il carretto era qualcosa di più di un semplice strumento di lavoro. Ha rappresentato «per quasi un secolo, l’identità collettiva di un popolo che aveva elaborato una cultura omogenea e autosufficiente, partecipata da tutti i ceti sociali e perciò predisposta a far circolare le tecniche dell’arte in tutte le direzioni».[1]Infatti i repertori decorativi e figurativi del carretto riassumono il meglio dell’arte siciliana: i personaggi affollavano gli scacchi del carretto, le eterne lotte dei paladini correvano per le trazzere impolverate della Sicilia. Accomunando, assimilando e accumulando gli episodi storici, anche lontanissimi nel tempo. Vive nelle numerose bancarelle e negozi di souvenir dei maggiori centri turistici, dove è possibile trovare modellini di carretti in miniatura di svariata fattura. Lo si può trovare ancora nei centri storici della Sicilia come attrattiva per turisti, durante eventi popolari quali sfilate, esposizioni e feste pubbliche, nelle cerimonie folcloristiche.
L’apparato figurativo del carretto, ormai diventato il clischè dell’arte popolare, con i suoi colori, il suo stile, il suo iter-narrativo viene ripreso e utilizzato per decorare banconi dei venditori ambulanti da:   



[1] D’Onofrio, Le tecniche, in “Arte popolare in Sicilia”, di G. D’Agostino, Catalogo della mostra tenutasi a Siracusa in Santa Maria di Montevergine dal 26/10/1991 al 31/01/ 1992, S.F. Flaccovio, Palermo, pag.29



u castagnaro, il venditore di castagne arrosto, al venditore di cedri, di caramelle u’caramellaru, al venditore di sementi u’siminzaru. Rivive la pittura del carro, tra gli odori acri delle viscere alla brace, il dolce profumo del caramello del torrone, di mandorle, tra le fiaccole dondolanti di ceri appena offerti, il chiasso della gente si mescola alle preghiere, tra bambole e balocchi, santini e santuzze, spiccano i bancone dei siminzari.
Il carretto, avendo perduto la sua funzione di mezzo di trasporto, i pittori trasferiscono le loro capacità decorative nella moto Ape, cambia il mezzo. La lapa nella  sua inconfondibile sagoma ha attraversato in lungo e in largo, nel tempo e nello spazio, il nostro Paese. In questo veicolo si adatta la pittura del carretto, avviene una rifunzionalizzazione di quest’arte.
La continuità si può individuare nella varietà e vivacità della pittura, nella violenta policromia dei suoi colori, retaggio della pittura del carretto, e nella decorazione molto emotiva in cui i soggetti psicologici e mitizzanti sono sapientemente e artisticamente collocati in una disposizione che rispecchia quella del carretto. I pittori adattano la propria tecnica sul nuovo mezzo. Sono numerosissime le lambrette dei venditori ambulanti che scorazzano per le strade di Palermo e provincia riccamente addobbate in ogni minima parte.
Oggi, in questa nostra società, dove le immagini scorrono velocemente e si consumano tra bieche operazioni mediatiche e poco trasparenti “strategie” di mercato, esse non riescono ad imprimersi più nella nostra mente: immagini vuote, sbiadite, mute, spogliate di quel valore culturale che li consegna alla lunga durata e alla memoria. Memoria che ritroviamo negli scacchi dei carretti, in quelle immagini governate e dominate dagli uomini. Una miriade di figure che non erano destinate ad essere solamente guardate, ma venivano lette, decodificate, possedute e partecipate da un’intera collettività.

Serafina Sciortino
Antropologa 



U’siminzaru, (foto di Serafina Sciortino)



Moto ape decorata dal pittore Franco Bertolino ( foto di Serafina Sciortino)





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