Tra le molte cose belle già
appartenute al più vivo folklore siciliano, il carretto rappresenta
indubbiamente l'espressione più caratteristica del costume storico e
tradizionale dell’Isola.
Il carretto siciliano è certamente l'oggetto più
popolare e caratteristico dell'artigianato e del folclore della Sicilia.
Strettamente legato alla tradizione, alla storia ed alla cultura della nostra
terra oggi ne è diventato il simbolo. Questi gioiosi e folkloristici
capolavori, si manifestano agli occhi di chi li osserva come una fantasmagorica
esplosione di colori e forme. Nelle sponde, nelle ruote, nella cassa in cui
predominano il giallo, il rosso, il verde e il turchino, vi sono i colori della
passione, del sole siciliano, dello zolfo, delle arance e dei limoni, delle
angurie e dei ficodindia, del cielo e del mare, della lava che sgorga
dall'Etna. Esso rappresenta in sintesi, l'espressione delle numerose civiltà
del Mediterraneo che furono presenti nell'Isola, dagli Arabi ai Turchi, dai
Greco-Bizantini ai Normanni per finire con gli Aragonesi (Spagnoli) e gli
Angioini (Francesi). Osservandolo da vicino sembra di guardare e di sentire
tutta la Sicilia con i panorami aspri, i suoi profumi misteriosi, la mescolanza
salsoiodica dei venti del Mediterraneo le sue lontananze, le sue infinite
storie da “ Le mille e una notte”.
Nelle diverse aree dell'isola si distinguono cinque fondamentali varianti
tipologiche del carretto, secondo la tradizione culturale e il gusto locale,
nonché secondo la funzione principale che il veicolo è chiamato a svolgere.
Queste tipologie sono da ricercare non solo nelle variazioni cromatiche ma
anche nei vari elementi strutturali del veicolo. Le cinque, varianti
tipologiche, fondamentali sono: il palermitano, il castelvetranese, il
trapanese, il marsalese e il catanese. Queste cinque varianti
dimostrano, indipendentemente dalle diverse caratteristiche locali, l’abile
maestria dei costruttori-artigiani, i quali elaborano, con estrema perizia e
maestria, le esigenze di ordine estetico
una funzione prettamente pratica del manufatto. Botteghe di uomini costruiscono, intagliano,
decorano il carretto, creando il codice
dell’arte popolare.
Ogni paese ebbe i suoi carradori, i suoi fabbricanti
di finimenti lucidi di specchietti e di borchie. Che determinarono varie scuole
di maestranza, con i propri “stili”. Ogni bottega ebbe una propria organizzazione interna, un
proprio modo di lavorare ed un proprio patrimonio. La costruzione del carretto era
un'impresa molto faticosa, prevedeva una complessa organizzazione. Ogni
carretto si può definire un'opera collettiva poiché impegnava più gruppi di
artigiani con specializzazioni diverse: il carradore, u’ carrozzieri (chi costruiva il carretto), il fabbro, u’
firraru (che forgiavano le parti
metalliche del carretto), gli
intagliatori, u 'ntaghiaturi, lo scultore (che scolpivano e rifinivano
le parti in legno), il fonditore, u’ramaturi,
il pittore, u pitturi (che decoravano il carretto), il pellettiere,
il quale assume nomi diversi in base ai finimenti che realizza. Erano umili artigiani che si
tramandavano il mestiere da generazioni in generazione. Costruivano così con
tecniche di lavorazione primitive,
carretti che, oltre ad essere dei mezzi di trasporto, rappresentano oggi delle
vere e proprie icone della Sicilia dove l’artigianato raggiunge una delle sue
massime espressioni.
Le ruote e i raggi e le sponde erano finemente
intagliati, le chiavi di sostegno ornate di rosoni, di angeli e di draghi, le
spalliere di vicende che parlavano all’immaginazione. Tutte le superfici del veicolo erano dipinte e decorate; un miscuglio di
colori: rosso, turchino, verde, rosa, celestino, bianco. I colori non hanno
ombreggiature, né sfumature. Sono sempre accesi, con un effetto bellissimo, a
tratti accostati
e giustapposti che ricordano la tecnica degli impressionisti per cogliere
le fuggevoli sfumature. Esplodono i ritmi geometrici dal tono fantastico, ogni
singola parte si distingue dalle
restanti per una propria peculiare caratteristica, e nell’insieme è da questo
intrecciarsi e mescolarsi di colori e motivi decorativi che derivano le
particolarità che conferiscono un certo fascino al carretto. Nel suo significato descrittivo,
il corpus delle immagini raffigurate
nei laterali del carretto compone e rappresenta ciascuna un tema, un motivo o
una variante dell’universo dei simboli nei quali la cultura si segmenta. Le immagini o unità narrative si
contestualizzano negli scacchi e trovano lì una loro successione crono-logica
(quella che il carrettiere ha deliberato ma che il pittore, di volta in volta,
crea e ricrea) così anche tali tematiche (tutti gli infiniti modi di essere e
di fare inventariati e inventariabili: il duello, la fascinazione
l’incantesimo, il miracolo) hanno la potenzialità di riferirsi alla loro
specifica storia in un’ottica
ideografica. Figure e cavalli vigorosamente scolpiti e dipinti, in un gioco
fantastico di luci e ombre che arricchiscono l’atmosfera di poesia in cui sono
ambientati, sono così vivi e così pieni di movimento che sembrano balzare sulla
strada. Una profusione di ornati, di simboli e di figure interpretati in prima
istanza dal pittore che seleziona le scene, il carrettiere che sceglie ed
infine il pubblico che osserva e interpreta.
I pannelli dei carri, come osserva Antonino Buttitta, sulla base dei
soggetti che raffigurano, si possono suddividere nelle seguenti tipologie
fondamentali:
1) Genere
storico-cavalleresco
2) Genere leggendario-fiabesco
3) Genere religioso
4) Genere lirico letterario
5) Genere realistico
Un mondo fantastico, dall’atmosfera abbracciante, popolato
di castelli che fanno pensare ai sontuosi castelli degli Emiri, saloni
imperiali o semplici ed infantili casupole e baldanzosi cristiani, armature
preziose e cavalieri montati su focosi destrieri, re, regine, principi,
giganti, saraceni, diavoli maghi, mostri, fate. Su di loro sovrasta l’azzurro
infinito di un cielo cristallino. Ogni carro aveva, nei suoi quattro scacchi,
un ciclo rappresentato che segue un iter-narrativo ben preciso. Mille le storie,
mille gli eventi, tra battaglie idilli amorosi, tra Santi e banditi graci e
romani, tra Orlando, Angelica, Rinaldo,
Garibaldi, Turiddu Macca, Astolfo ed il suo volo iperbolico, Ruggiero, Giovanna
di Napoli, Genoveffa di Brabante, San Giorgio, San Giuseppe, Santa Rosalia, la
cultura siciliana si raccontava. Le varie immagini dimostrano l’intreccio tra arte culta e arte popolare.
Oggi il carretto è quasi scomparso, ma resta pressoché intatto tutto il
fascino che riesce ad esercitare in chi ha la fortuna di poterne ammirare i
dettagli, rappresentando l'oggetto più conosciuto e significativo dell'arte
popolare siciliana. Divenuto obsoleto come mezzo di trasporto e di
lavoro nelle campagne è rimasto solo nel suo ruolo di rappresentante della
Sicilia e della sua tradizione, tanto da diventare uno dei simboli
dell'iconografia folcloristica siciliana. Mezzo di trasporto, bottega ambulante, il carretto era
qualcosa di più di un semplice strumento di lavoro. Ha rappresentato «per quasi
un secolo, l’identità collettiva di un popolo che aveva elaborato una cultura
omogenea e autosufficiente, partecipata da tutti i ceti sociali e perciò
predisposta a far circolare le tecniche dell’arte in tutte le direzioni».[1]Infatti
i repertori decorativi e figurativi del carretto riassumono il meglio dell’arte
siciliana: i personaggi affollavano gli scacchi
del carretto, le eterne lotte dei
paladini correvano per le trazzere impolverate della Sicilia.
Accomunando, assimilando e accumulando gli episodi storici, anche lontanissimi
nel tempo. Vive nelle numerose bancarelle e
negozi di souvenir dei maggiori centri turistici, dove è possibile trovare
modellini di carretti in miniatura di svariata fattura. Lo si
può trovare ancora nei centri storici della Sicilia come attrattiva per
turisti, durante eventi popolari quali sfilate, esposizioni e feste pubbliche,
nelle cerimonie folcloristiche.
L’apparato figurativo del carretto, ormai diventato il clischè dell’arte popolare, con i suoi
colori, il suo stile, il suo iter-narrativo viene ripreso e utilizzato per
decorare banconi dei venditori ambulanti
da:
[1]
D’Onofrio, Le tecniche, in “Arte
popolare in Sicilia”, di G. D’Agostino, Catalogo della mostra tenutasi a
Siracusa in Santa Maria di Montevergine dal 26/10/1991 al 31/01/ 1992, S.F.
Flaccovio, Palermo, pag.29
u castagnaro, il
venditore di castagne arrosto, al venditore di cedri, di caramelle u’caramellaru, al venditore di sementi u’siminzaru. Rivive la pittura del carro, tra gli
odori acri delle viscere alla brace, il dolce profumo del caramello del
torrone, di mandorle, tra le fiaccole dondolanti di ceri appena offerti, il
chiasso della gente si mescola alle preghiere, tra bambole e balocchi, santini e santuzze, spiccano i bancone dei siminzari.
Il carretto, avendo perduto la sua funzione di mezzo di trasporto, i
pittori trasferiscono le loro capacità decorative nella moto Ape, cambia il mezzo. La lapa nella sua inconfondibile sagoma ha attraversato in
lungo e in largo, nel tempo e nello spazio, il nostro Paese. In questo veicolo
si adatta la pittura del carretto, avviene una rifunzionalizzazione di quest’arte.
La continuità
si può individuare nella varietà e vivacità della pittura, nella violenta
policromia dei suoi colori, retaggio della pittura del carretto, e nella
decorazione molto emotiva in cui i soggetti psicologici e mitizzanti sono
sapientemente e artisticamente collocati in una disposizione che rispecchia
quella del carretto. I pittori adattano la propria tecnica sul nuovo mezzo.
Sono numerosissime le lambrette dei venditori ambulanti che scorazzano per le
strade di Palermo e provincia riccamente addobbate in ogni minima parte.
Oggi,
in questa nostra società, dove le immagini scorrono velocemente e si consumano
tra bieche operazioni mediatiche e poco trasparenti “strategie” di mercato,
esse non riescono ad imprimersi più nella nostra mente: immagini vuote,
sbiadite, mute, spogliate di quel valore culturale che li consegna alla lunga
durata e alla memoria. Memoria che ritroviamo negli scacchi dei carretti, in quelle immagini governate e dominate dagli uomini. Una miriade di figure che non
erano destinate ad essere solamente guardate, ma venivano lette, decodificate,
possedute e partecipate da un’intera collettività.
Serafina Sciortino
Antropologa
U’siminzaru, (foto di
Serafina Sciortino)
Moto ape
decorata dal pittore Franco Bertolino ( foto di Serafina Sciortino)
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