Era l'11novembre: il cielo era
coperto, piovigginava e tirava un ventaccio che penetrava nelle ossa; per
questo il cavaliere era avvolto nel suo ampio mantello di guerriero. Ma ecco
che lungo la strada c'è un povero vecchio coperto soltanto di pochi stracci,
spinto dal vento, barcollante e tremante per il freddo. Martino lo guarda e
sente una stretta al cuore. "Poveretto, - pensa - morirà per il
gelo!" E pensa come fare per dargli un po' di sollievo. Basterebbe una
coperta, ma non ne ha. Sarebbe sufficiente del denaro, con il quale il povero
potrebbe comprarsi una coperta o un vestito; ma per caso il cavaliere non ha
con sé nemmeno uno spicciolo. E allora cosa fare? Ha quel pesante mantello che
lo copre tutto. Gli viene un'idea e, poiché gli appare buona, non ci pensa due
volte. Si toglie il mantello, lo taglia in due con la spada e ne da’ una metà
al poveretto.
"Dio ve ne renda merito!",
balbetta il mendicante, e sparisce.
San Martino, contento di avere fatto
la carità, sprona il cavallo e se ne va sotto la pioggia, che comincia a cadere
più forte che mai, mentre un ventaccio rabbioso pare che voglia portargli via
anche la parte di mantello che lo ricopre a malapena. Ma fatti pochi passi ecco
che smette di piovere, il vento si calma. Di lì a poco le nubi si diradano e se
ne vanno. Il cielo diventa sereno, l'aria si fa mite. Il sole comincia a
riscaldare la terra obbligando il cavaliere a levarsi anche il mezzo mantello.
Ecco l'estate di San Martino, che si rinnova ogni anno per festeggiare un
bell'atto di carità ed anche per ricordarci che la carità verso i poveri è il
dono più gradito a Dio. Ma la storia di San Martino non finisce qui. Durante la
notte, infatti, Martino sognò Gesù che lo ringraziava mostrandogli la metà del mantello,
quasi per fargli capire che il mendicante incontrato era proprio lui in
persona.
Si dice: L’Estate di San Martino…
… dura tre giorni e un pochino”
Secondo la leggenda il Santo in
viaggio, avendo incontrato due poveri prima donò loro la metà del suo mantello
e poi la metà della metà che gli era rimasta. Così il tempo divenne
all’improvviso sereno per permettere al Santo di concludere il suo viaggio.
Ancora oggi nella settimana che
ricorre San Martino, spesso si assiste ad un breve periodo in cui il clima
diventa più mite e si parla di “ estate di San Martino.”
PROVERBIO E TRADIZIONE DOLCIARIA
“A San Martino ogni mustu è vinu”. “L’antico
proverbio agricolo ricorda che per il giorno di San Martino, il mosto ha finito
di fermentare e può quindi essere “spillato”.
Per i palermitani quel giorno finisce
l’inesauribile estate, che spesso si prolunga fino a primi giorni di novembre,
e per l’occasione si gusta il vino novello che l’industria vinicola fa
degustare aprendo le porte alle varie cantine disseminate nel triangolo
vinicolo della provincia.
Martino fu definito il patrono degli
ubriaconi, che affollavano le varie “taverne” della città festeggiando solenni
banchetti a base di verdure cotte: “cardoni”, “vruocculi” e uova sode,
accompagnati da abbondanti libagioni.
Chi aveva modeste possibilità, quel
giorno si limitava ad accompagnare il suo modesto pasto con del vino “novello”.
Per i più benestanti tutte le scuse erano buone per imbandire la tavola e quel
giorno oltre a brindare con il vino novello, si mangiava abbondantemente e
sulle ricche tavole era presente il tradizionale tacchino ruspante o, in
alternativa, la carne di maiale la faceva da leone.
Per il San Martino dei non ricchi,
bisognava aspettare la prima domenica dopo l’undici novembre per concludeva il
frugale pasto domenicale con “u viscottu i San Martino abbagnatu nn’o
muscatu", (il biscotto di San Martino intriso nel moscato). Il
moscato, vino liquoroso, veniva in genere offerto in dono dall’abituale
fornitore di vino.
Della tradizione palermitana di
onorare il santo fa parte la preparazione di biscotti speciali che prendono
appunto il nome di “biscotti di San Martino".
Sono confezionati con fior di farina
impastata con il latte e fortemente lievitata, hanno la forma di una
pagnottella rotondeggiante della grossezza di un’arancia e l’aggiunta
nell’impasto di semi d’anice conferisce loro un sapore e un profumo
particolare.
Cotti a fuoco lento, si presentano
molto croccanti e friabilissimi ed in questa occasione vengono largamente
consumati "abbagnati" (inzuppati) nel vino liquoroso “moscato
di Pantelleria” ricavato da uve inzolia o inzuppati nel vino appena
spillato.
I pasticcieri della città, cui non è
mancato l’estro, nel riprendere usi barocchi, impreziosiscono i tradizionali
biscotti rivestendoli con una velata di zucchero fuso e decorandoli con
cioccolatini fondenti, confettini, addobbi floreali di pasta reale, ripieni di
crema o marmellata, facendone insomma una leccornia gradevolissima anche
nell’aspetto. In altra versione, il biscotto comune, svuotato, viene anch’esso
ripieno di crema di ricotta con canditi e scaglie di cioccolato e inzuppato in
liquore di rhum.
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