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lunedì 11 novembre 2013

SAN MARTINO: STORIA, LEGGENDA E TRADIZIONI POPOLARI

Era l'11novembre: il cielo era coperto, piovigginava e tirava un ventaccio che penetrava nelle ossa; per questo il cavaliere era avvolto nel suo ampio mantello di guerriero. Ma ecco che lungo la strada c'è un povero vecchio coperto soltanto di pochi stracci, spinto dal vento, barcollante e tremante per il freddo. Martino lo guarda e sente una stretta al cuore. "Poveretto, - pensa - morirà per il gelo!" E pensa come fare per dargli un po' di sollievo. Basterebbe una coperta, ma non ne ha. Sarebbe sufficiente del denaro, con il quale il povero potrebbe comprarsi una coperta o un vestito; ma per caso il cavaliere non ha con sé nemmeno uno spicciolo. E allora cosa fare? Ha quel pesante mantello che lo copre tutto. Gli viene un'idea e, poiché gli appare buona, non ci pensa due volte. Si toglie il mantello, lo taglia in due con la spada e ne da’ una metà al poveretto.

"Dio ve ne renda merito!", balbetta il mendicante, e sparisce.

San Martino, contento di avere fatto la carità, sprona il cavallo e se ne va sotto la pioggia, che comincia a cadere più forte che mai, mentre un ventaccio rabbioso pare che voglia portargli via anche la parte di mantello che lo ricopre a malapena. Ma fatti pochi passi ecco che smette di piovere, il vento si calma. Di lì a poco le nubi si diradano e se ne vanno. Il cielo diventa sereno, l'aria si fa mite. Il sole comincia a riscaldare la terra obbligando il cavaliere a levarsi anche il mezzo mantello. Ecco l'estate di San Martino, che si rinnova ogni anno per festeggiare un bell'atto di carità ed anche per ricordarci che la carità verso i poveri è il dono più gradito a Dio. Ma la storia di San Martino non finisce qui. Durante la notte, infatti, Martino sognò Gesù che lo ringraziava mostrandogli la metà del mantello, quasi per fargli capire che il mendicante incontrato era proprio lui in persona.

Si dice: L’Estate di San Martino…
… dura tre giorni e un pochino”

Secondo la leggenda il Santo in viaggio, avendo incontrato due poveri prima donò loro la metà del suo mantello e poi la metà della metà che gli era rimasta. Così il tempo divenne all’improvviso sereno per permettere al Santo di concludere il suo viaggio.
Ancora oggi nella settimana che ricorre San Martino, spesso si assiste ad un breve periodo in cui il clima diventa più mite e si parla di “ estate di San Martino.”


PROVERBIO E TRADIZIONE DOLCIARIA

“A San Martino ogni mustu è vinu”. “L’antico proverbio agricolo ricorda che per il giorno di San Martino, il mosto ha finito di fermentare e può quindi essere “spillato”.
Per i palermitani quel giorno finisce l’inesauribile estate, che spesso si prolunga fino a primi giorni di novembre, e per l’occasione si gusta il vino novello che l’industria vinicola fa degustare aprendo le porte alle varie cantine disseminate nel triangolo vinicolo della provincia.
Martino fu definito il patrono degli ubriaconi, che affollavano le varie “taverne” della città festeggiando solenni banchetti a base di verdure cotte: “cardoni”, “vruocculi” e uova sode, accompagnati da abbondanti libagioni.

Chi aveva modeste possibilità, quel giorno si limitava ad accompagnare il suo modesto pasto con del vino “novello”. Per i più benestanti tutte le scuse erano buone per imbandire la tavola e quel giorno oltre a brindare con il vino novello, si mangiava abbondantemente e sulle ricche tavole era presente il tradizionale tacchino ruspante o, in alternativa, la carne di maiale la faceva da leone.

Per il San Martino dei non ricchi, bisognava aspettare la prima domenica dopo l’undici novembre per concludeva il frugale pasto domenicale con “u viscottu i San Martino abbagnatu nn’o muscatu", (il biscotto di San Martino intriso nel moscato). Il moscato, vino liquoroso, veniva in genere offerto in dono dall’abituale fornitore di vino.
Della tradizione palermitana di onorare il santo fa parte la preparazione di biscotti speciali che prendono appunto il nome di “biscotti di San Martino".

Sono confezionati con fior di farina impastata con il latte e fortemente lievitata, hanno la forma di una pagnottella rotondeggiante della grossezza di un’arancia e l’aggiunta nell’impasto di semi d’anice conferisce loro un sapore e un profumo particolare.
Cotti a fuoco lento, si presentano molto croccanti e friabilissimi ed in questa occasione vengono largamente consumati "abbagnati" (inzuppati) nel vino liquoroso “moscato di Pantelleria” ricavato da uve inzolia o inzuppati nel vino appena spillato.


I pasticcieri della città, cui non è mancato l’estro, nel riprendere usi barocchi, impreziosiscono i tradizionali biscotti rivestendoli con una velata di zucchero fuso e decorandoli con cioccolatini fondenti, confettini, addobbi floreali di pasta reale, ripieni di crema o marmellata, facendone insomma una leccornia gradevolissima anche nell’aspetto. In altra versione, il biscotto comune, svuotato, viene anch’esso ripieno di crema di ricotta con canditi e scaglie di cioccolato e inzuppato in liquore di rhum.








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